Apro la posta. C'è l'invito a una festa a Milano. Resto indifferente. Sono una misantropa? Sono diventata antipatica come Rousseau? Ho voglia di vivere così. Vivere facendo a meno. Vivere senza. Senza mondanità. Senza viaggi. Senza feste. Intendo scoprire se la felicità è possibile facendo a meno di tutto questo. Se ci sia beatitudine nel godere di quello che avremmo comunque avuto: il sole, le nuvole, le metamorfosi delle stagioni. Scoprire se quanto era stato assegnato all'uomo bastava. Comincio a capire che sì, bastava, e questa scoperta quasi mi sgomenta: perché il mio appetito di cose diverse da quelle che ho è svanito, si è smorzato come la libido di un asceta che abbia imparato a trovare nell'astensione la gioia. Questo non è quello che solitamente viene chiamato vita, non dai pubblicitari almeno, non dagli strateghi del marketing. Ma è la mia vita.
[...]
Mi piace questa vita bastante a se stessa, che non ha bisogno di giustificarsi con eventi straordinari, che trova l'appagamento, la gioia di vivere, anche quando non accade niente, ma proprio niente degno di fare notizia.
(Pia Pera, L'orto di un perdigiorno)
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