7 gennaio 2011

Datemi un martello...

Il dolore immaginario autoinflitto mi placa all'istante. Non fraintendetemi, non vi è alcuna intenzione o progettualità dietro a questo fantasticare. Il dolore reale non mi attira in modo particolare. Se per esempio visualizzo una corda stringersi intorno al mio collo fino a privarmi lentamente del respiro, non per questo ho desiderio di impiccarmi. Forse la cosa può essere difficile da comprendere. Voglio proviate a considerarla come una forma di meditazione, c'è chi si sente rilassare immergendosi in immagini di ruscelli e verdi prati, con me non funziona. Efficace invece è la rappresentazione mentale del mio corpo sottoposto a una forza in grado di ferirlo, o ancor meglio spezzarlo, soffocarlo. Nessuna sottile tortura, nessun diletto per il dettaglio macabro, bensì una violenza rapida e semplice che non richiede un particolare sforzo di concentrazione, infatti non sono pensieri questi che si protraggono per  più di qualche secondo in genere. Il tempo di colpire.
Il bisogno di essere colpita.

Mi fermo qui, non possiedo i mezzi per indagare più a fondo la faccenda, già soltanto tentare di delinearla è stato uno sforzo notevole e ha prodotto un risultato parziale. Lascio le analisi di psicologia spicciola a chi vorrà farle.

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