La primavera è arrivata con un mese di anticipo. Vado a dare un'occhiata all'aiuola delle peonie di cui ho interrato i rizomi l'autunno di un paio di anni fa. Hanno attecchito, stanno spuntando i primi steli rosso rabarbaro. I tulipani Angelica emergono con la loro corona di spesse foglie lanceolate. Sta per esplodere il paradiso e mi rendo conto che il momento di accettare l'invito a Goa è ormai passato. Meglio così. Se ne stia nella sua lontananza l'India, favolosa come un paese mai visto, come un suono carico di leggenda. A me è bastato mi facesse compagnia quando fuori era freddo e restavo in casa accanto al camino acceso, con qualche lettura, qualche pregustazione di viaggio; il desiderio di evasione era troppo smorzato dalla nuova felicità imparata qui, che insegna a sottrarsi alla morsa dei desideri indotti. Ci vuole tempo, l'impronta dei desideri degli altri è lenta a sparire. Che sollievo non doversi rinchiudere in quegli orribili torpedoni volanti, non doversi inventare un motivo di aggirarsi per l'India, sradicata come un cespo di gramigna tirato via da un colpo di zappa. Mi piace l'idea di Massimo, di creare un'agenzia di viaggi in cui si acquistano coupon che conferiscono il diritto di restarsene a casa: soddisfacendo a un tempo la coazione a spendere e il bisogno di dare prestigio alla sedentarietà, facendone qualcosa di non accessibile a tutte le borse. Un costosissimo biglietto di prima classe che conceda il diritto di non partire, di sentirsi felici lì dove ci troviamo. Un obolo alla follia perché ci sia concesso di non venire distratti dallo stato di beatitudine di chi assapora il momento presente. Chi non potesse permettersi coupon di sedentarietà, si troverebbe costretto a viaggiare per il pianeta come un'anima in pena, come gli amanti del quinto girone.
(Pia Pera, L'orto di un perdigiorno) (grassetto mio)
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