Una crema di parole: al burro.
Squisita, direbbero i lettori, e ne chiederebbero il bis. Io però una pietanza del genere ancora non so confezionarla: le parole che cucino risultano invece insipide, o alle volte troppo condite, di quelle che rimangono sullo stomaco o di quelle che, quando il piatto è vuoto, non ci si ricorda più che sapore avessero. Mi sono detta che forse gli ingredienti non sono freschi: parole indigeste, ammuffite o dure come pezzi di gesso, allora vado in cerca delle parole-primizie, salvo poi accorgermi che sono introvabili; al più mi imbatto in qualche ingrediente particolare, poco usato, e di gusto insolito, eccessivamente ricercato o elaborato, da confondere i palati e le idee.
La colpa quindi, sembra ormai evidente, non può che essere dello chef-scribacchino che dalla profusa offerta di cibarie non gli riesce di cavare manco un brodino di pollo.
Si consiglia pertanto un <<costante esercizio mirato a migliorare tecnica e gusto>>. Vogliate quindi perdonarmi se i vostri palati soffriranno l'offesa di qualche mia inesperienza, ma mi è stato detto di impratichirmi e mai verrei meno ai miei doveri.
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