28 dicembre 2010

Eden

Pia Pera.
Non è una qualche varierà di frutto antico, ma una persona meravigliosa, scrittrice, innamorata della terra e della vita agreste, l'orto, il giardino. E io non ho alcuna difficoltà a identificarmi in lei mentre leggo L'orto di un perdigiorno e a sognare di una vita simile, che mi sembra la migliore delle vite possibili.
In fondo l'ho sempre saputo che la mia pace è lì, tra il morbido muschio e la corteccia di un pero. Quando me ne distacco per obbligo o cecità, forse inseguendo fantastiche chimere, soffro. Eppure pare così difficile conciliare la realtà di una vita adulta come viene configurandosi nel mondo che conosco con quel genere di felicità verde, più da isola lontana o paradiso perduto. Da bambina sì che ero capace di non tradire, mai. Entusiasta esploratrice dei boschi, osservatrice di formiche, collezionista di piume, scheletri, erbe, nidi, gusci d'uovo, pelli di serpenti, rami, spine, sassi, foglie, una camera delle meraviglie tutta personale che mi ha riempito d'orgoglio per molti anni. Gironzolavo per i prati con quel senso di scoperta che, non so come, rende l'aria più luminosa, mangiando fiori d'acacia o arrampicandomi sugli alberi. Incapace d'uccidere persino un insetto, spasimavo per le creature dei boschi, parlavo col vento, abbracciavo gli alberi e mi sdraiavo nei campi per sentire il peso della terra sulla schiena, la sua mole immensa, e mi aggrappavo a lei stringendo l'erba tra i pugni.
Ma domani? Sarà ancora possibile tutto questo? In che modo? Con chi? Sperarlo ad ogni modo rende il futuro un luogo migliore verso cui dirigersi.

Paradiso in terra, paradiso terrestre. Non ricordo più dove, Kafka ha scritto che ci sarebbe da chiedersi non perchè l'uomo abbia perduto il paradiso terrestre, ma perchè non faccia nulla per tornarci. A lui, cittadino di Praga, forse è sfuggito che chiunque torni alla campagna, chiunque voglia per sé un giardino, è spinto da questo desiderio, di un ritorno all'Eden.

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