Come nella seppia, o nel calamaro, c'è una piccola sacca tra le mie viscere, una sacca con dentro un dolore scuro e denso.
Per un certo periodo quella vescica si è andata ingrossando, ma per quanto crescesse era pur sempre circoscritta, separata dal resto. Esisteva, ma c'era anche qualcosa di diverso da essa.
Ora tutto è sporco. Ora la sacca si è rotta riversando ovunque il suo cieco contenuto, avvelenandomi l'anima.
C'è stato un giorno in cui ho scritto questo pensiero. In verità ce ne sono stati numerosi, di giorni e di pensieri. Molti si assomigliano e inizio a confonderli.
La scatola del pianto. Giro la testa e le lacrime ricominciano a uscire, come quei cilindri di metallo col suono della mucca dentro, se li capovolgi. Ecco, in questo momento nella mia testa ci dev'essere un aggeggio del genere. Però emette lacrime al posto di muggiti.
Giorni di un passato non troppo lontano. Tutt'altro che dimenticato, ancora non superato. Però io oggi mi sento meglio e mi sentivo meglio ieri e il giorno prima e per farla breve è da un po' che semplicemente ho smesso di soffrire. Certo c'è da dire che questo "da un po'" coincide con l'aumento delle gocce. Gocce, non importa quali. Gocce per stare sereni, gocce per vivere alla grande, gocce che risolvono i problemi, gocce che mentre puliscono il pavimento ti versano una tazza di caffè e sussurrano ti voglio bene.
E io ricambio con dolci parole accarezzando la boccetta. Io, finalmente, nevrotica schizoide depressa farmaco-dipendente. Quello che sono.
Nessun commento:
Posta un commento