5 novembre 2010

Come in un film di Bruce Willis: vetri esplosi e istanti al rallentatore

Continuo a trovare frammenti di vetro, nelle tasche del cappotto, e in macchina, incastrati nei posti più assurdi. Oggi ne ho visti due brillare sul cruscotto, incastonati nella fessura che circonda il contachilometri.

Allora ho ripensato all'incidente. Nella sequenza emotiva degli istanti immediatamente precedenti e successivi all'impatto ho rintracciato un fotogramma particolare. Emersi dalla massa di generale paura quei pochi attimi di una diversa qualità mi hanno portato alla mente un altro evento, più lontano nel tempo.

Un paio d'anni fa, forse nemmeno, forse di più, non ha importanza, rimasi bloccata con la schiena spostando un televisore. Mia madre, che assisteva all'operazione, mi aiutò a sedermi in poltrona e poi si allontanò per andare in cucina a prendermi un frutto e un bicchiere d'acqua perché sentivo la testa leggera come quando si è digiuni da un certo tempo. I pochi minuti della sua assenza furono qualcosa di terrificante.
Iniziai a perdere il controllo di me come se stessi svenendo, ma conservando al tempo stesso la lucidità sufficiente per sentire tutto quello che andava accadendo nel mio corpo. Un corpo che non gestivo più. Ricordo d'aver udito un forte rumore d'acqua corrente provenire dal bagno, soltanto che era veramente assordante e non finiva più, e nasceva da me. Qualcosa nelle mie orecchie, o nelle mia testa, era andato in tilt.
Ho persino sognato, c'erano delle barche, e il mare, e accadevano cose che non riesco a rammentare, ma erano piacevoli, questo lo so, non mi sarei voluta svegliare, anche perché là fuori mi attendevano quel terribile fragore e il malessere della mia condizione.
Prima di tutto però, prima del sogno e dell'acqua, ci fu innanzitutto il panico, e il panico generò un pensiero.

Può essere questa la fine?

Certo adesso sembra una domanda assurda e totalmente sproporzionata, ma in quel momento parve davvero lecita, e io me la posi. La cosa incredibile però accadde subito dopo: mi sentii meglio, non fisicamente (anzi andavo peggiorando) ma mentalmente, ero sollevata. Questo perché avevo analizzato la faccenda e constatato la mia assoluta impotenza, e allora va bene, ci siamo, mi dissi.

Ora torniamo al principio. Torniamo a quando un camion mi si è parato davanti dopo una curva, un paio di settimane fa, e io ho sterzato quanto possibile ma ero già sul bordo della carreggiata e non potevo fuggire e lui era lì, spaventosamente vicino, e non c'era più tempo per frenare e sapevo che mi avrebbe colpita. Allora di nuovo quell'attimo di calma. L'attesa dell'inevitabile che mi ha fatto venire voglia di togliere le mani dal volante, chiudere gli occhi e allungarmi sul sedile.
Totale abbandono.
Poi fragore di vetri infranti, ma la serenità di quei singoli istanti è difficile da dimenticare.

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